Critica

Ci sono due generi di persone a questo mondo. Alcune, se gli dici Montecarlo, capiscono Monte Carlo, anzi Montcarlò, per chi avesse una qualche dimestichezza col francese, e pensano subito al casinò, alla Formula Uno, al paradiso fiscale, a scenari di lusso non di rado sfocianti nel kitsch più pacchiano. Sono la netta maggioranza, inutile negarlo. Esistono, però, anche poche persone illuminate che per Montecarlo capiscono un aggraziato borgo della Lucchesìa, ultimo rifugio di Carlo Cassola, terra di pace, vino e olio buoni.
Al privilegio di appartenere alla seconda schiera, Roberto Pasquinelli ne aggiunge almeno altri due: quello di vivere a Montecarlo e di essere considerato pictor loci, artista, cioè, riconosciuto dai suoi concittadini come in grado di fornire adeguata rappresentazione non solo fisica, ma anche spirituale (il genius, dicevano gli antichi) dell’amato luogo in cui opera.
Pasquinelli non si sottrae certamente al ruolo, che, anzi, ha certamente agognato di poter svolgere, identificando nel suo rapporto sentimentale con Montecarlo, in particolare con le sue campagne, i suoi cieli, le sue luci, i suoi odori in mutevole alternanza nel succedersi delle stagioni, gran parte della sua vena ispirativa. Né si preoccupa, Pasquinelli, che il suo localismo rurale, viscerale, a misura, innanzitutto, di Montecarlo e dei suoi abitanti, possa essere frainteso da chi avesse un’idea diversa dell’arte, metropolitana e internazionalista, così come poteva averla, ormai oltre un secolo fa, Umberto Boccioni, quando, nel Manifesto dei pittori futuristi, definiva un certo genere di artisti, nefasto ai suoi occhi di giovane iconoclasta, impotenti pittori da villeggiatura.
Pittura solare, quella di Pasquinelli: luce, chiarità, limpidezza, felicità espressiva. Il Chiarismo lombardo, minimo movimento che ebbe però notevole importanza nel rinnovamento della pittura figurativa italiana, anche se la critica spesso se ne dimentica, è della prima metà del Novecento. Persico, critico illustre, sottolineò a quel tempo l’accostamento al postimpressionismo. Ma forse si trattò piuttosto di un particolare espressionismo mediterraneo, diverso da quello di Scipione e della Scuola Romana. Finora non è stata facile la vita per gli artisti limpidi, semplici, genuini, non irreggimentati, non soggetti a disciplina di partito. Quando si farà un’onesta revisione critica del Novecento, dovremo tenerne conto. Dovremo “scoprire” i valori completamente obliati, dare giusta collocazione agli “accantonati”, ridimensionare i sopravvalutati della politica dispotica. Il Novecento è stato un defilé di ismi, un moltiplicarsi sfrenato di ricerche. Poche le scoperte. Si cercava soprattutto l’originalità ad ogni costo. Ma di originale ormai c’è ben poco. Tutto è già stato fatto o tentato. L’originalità vera consiste, ancora e sempre, nell’angolazione da cui ciascun artista guarda e vede il soggetto-oggetto dell’arte; consiste nel suo sentire, nel suo vivere e soffrire i mali del proprio tempo, nel godere e sognare i beni supremi, nel capire i grandi perché della vita. Il resto sono giuochi intellettualistici, che raramente riescono a essere piacevoli. Pasquinelli è un ritrattista, che ama ritrarre anche il paesaggio. Lo studia a fondo, prima di proporlo sulla tela.
Nell’arte di questo Maestro si può vedere una pastosità della pennellata e un calore della colorazione che suscita chiarore nell’animo di chi guarda; la grande perizia con cui lavora questo pittore soddisfa l’occhio più esperto come quello innocente. Troviamo spesso, nelle opere di Roberto Pasquinelli, una prospettiva che volge all’infinito, creando una emozionante spazialità. Questo fare incrementa la sensazione di respiro e di aria che tanto si confà alla soavità e alla forza delle sue vedute.
La Luce, la luminosità e l’atmosfera che Pasquinelli infonde alle sue tele, talmente impeccabile e concentrata, ci getta insieme a lui in questi paesaggi, che rappresentano uno dei posti della natura più amati in tutto il mondo, le colline della Toscana. L’artista riesce a descrivere con una straordinaria vivacità di colori la bellezza di quello che vede il suo sguardo. La pennellata è sicura, personale e decisa, il lirismo della sua composizione è realmente armonioso.

Critica

Ci sono due generi di persone a questo mondo. Alcune, se gli dici Montecarlo, capiscono Monte Carlo, anzi Montcarlò, per chi avesse una qualche dimestichezza col francese, e pensano subito al casinò, alla Formula Uno, al paradiso fiscale, a scenari di lusso non di rado sfocianti nel kitsch più pacchiano. Sono la netta maggioranza, inutile negarlo. Esistono, però, anche poche persone illuminate che per Montecarlo capiscono un aggraziato borgo della Lucchesìa, ultimo rifugio di Carlo Cassola, terra di pace, vino e olio buoni.
Al privilegio di appartenere alla seconda schiera, Roberto Pasquinelli ne aggiunge almeno altri due: quello di vivere a Montecarlo e di essere considerato pictor loci, artista, cioè, riconosciuto dai suoi concittadini come in grado di fornire adeguata rappresentazione non solo fisica, ma anche spirituale (il genius, dicevano gli antichi) dell’amato luogo in cui opera.
Pasquinelli non si sottrae certamente al ruolo, che, anzi, ha certamente agognato di poter svolgere, identificando nel suo rapporto sentimentale con Montecarlo, in particolare con le sue campagne, i suoi cieli, le sue luci, i suoi odori in mutevole alternanza nel succedersi delle stagioni, gran parte della sua vena ispirativa. Né si preoccupa, Pasquinelli, che il suo localismo rurale, viscerale, a misura, innanzitutto, di Montecarlo e dei suoi abitanti, possa essere frainteso da chi avesse un’idea diversa dell’arte, metropolitana e internazionalista, così come poteva averla, ormai oltre un secolo fa, Umberto Boccioni, quando, nel Manifesto dei pittori futuristi, definiva un certo genere di artisti, nefasto ai suoi occhi di giovane iconoclasta, impotenti pittori da villeggiatura.
Pittura solare, quella di Pasquinelli: luce, chiarità, limpidezza, felicità espressiva. Il Chiarismo lombardo, minimo movimento che ebbe però notevole importanza nel rinnovamento della pittura figurativa italiana, anche se la critica spesso se ne dimentica, è della prima metà del Novecento. Persico, critico illustre, sottolineò a quel tempo l’accostamento al postimpressionismo. Ma forse si trattò piuttosto di un particolare espressionismo mediterraneo, diverso da quello di Scipione e della Scuola Romana. Finora non è stata facile la vita per gli artisti limpidi, semplici, genuini, non irreggimentati, non soggetti a disciplina di partito. Quando si farà un’onesta revisione critica del Novecento, dovremo tenerne conto. Dovremo “scoprire” i valori completamente obliati, dare giusta collocazione agli “accantonati”, ridimensionare i sopravvalutati della politica dispotica. Il Novecento è stato un defilé di ismi, un moltiplicarsi sfrenato di ricerche. Poche le scoperte. Si cercava soprattutto l’originalità ad ogni costo. Ma di originale ormai c’è ben poco. Tutto è già stato fatto o tentato. L’originalità vera consiste, ancora e sempre, nell’angolazione da cui ciascun artista guarda e vede il soggetto-oggetto dell’arte; consiste nel suo sentire, nel suo vivere e soffrire i mali del proprio tempo, nel godere e sognare i beni supremi, nel capire i grandi perché della vita. Il resto sono giuochi intellettualistici, che raramente riescono a essere piacevoli. Pasquinelli è un ritrattista, che ama ritrarre anche il paesaggio. Lo studia a fondo, prima di proporlo sulla tela.
Nell’arte di questo Maestro si può vedere una pastosità della pennellata e un calore della colorazione che suscita chiarore nell’animo di chi guarda; la grande perizia con cui lavora questo pittore soddisfa l’occhio più esperto come quello innocente. Troviamo spesso, nelle opere di Roberto Pasquinelli, una prospettiva che volge all’infinito, creando una emozionante spazialità. Questo fare incrementa la sensazione di respiro e di aria che tanto si confà alla soavità e alla forza delle sue vedute.
La Luce, la luminosità e l’atmosfera che Pasquinelli infonde alle sue tele, talmente impeccabile e concentrata, ci getta insieme a lui in questi paesaggi, che rappresentano uno dei posti della natura più amati in tutto il mondo, le colline della Toscana. L’artista riesce a descrivere con una straordinaria vivacità di colori la bellezza di quello che vede il suo sguardo. La pennellata è sicura, personale e decisa, il lirismo della sua composizione è realmente armonioso.